Scheda 1010 - Milizia dell'Immacolata di Sicilia

Vai ai contenuti

SK 1010 - Grazia divina e doni di natura nei santi
1 Rycerz Niepokalanej, VI 1922, p. 114-117

Ad ogni uomo Dio ha assegnato una determinata missione in questo mondo e, già mentre creava l'universo, disponeva le cause prime in modo tale che la catena ininterrotta dei loro effetti creasse le condizioni e le circostanze più favorevoli per l'attuazione di tale missione. Ogni uomo, quindi, nasce con le capacità proporzionate alla missione a lui affidata e, per tutto il corso della sua vita, l'ambiente e le circostanze, tutto contribuisce a rendergli possibile e facile il conseguimento dello scopo. E in tale conseguimento dello scopo consiste appunto tutta la perfezione dell'uomo; e con quanta maggior precisione uno realizza il proprio compito, quanto più scrupolosamente compie la propria missione, tanto più è grande e santo agli occhi di Dio. Oltre che dai doni naturali, l'uomo è accompagnato dalla culla fino alla tomba dalla grazia di Dio, la quale si riversa su ognuno di noi in quantità e qualità tali che le deboli forze umane possono rafforzarsi a sufficienza e acquistare l'energia soprannaturale necessaria per affrontare la propria missione. E molti santi per tutto il corso della loro vita hanno collaborato incessantemente con i doni di Dio, sia naturali sia soprannaturali. In questo momento non penso solamente alla purissima Madre di Dio, la quale, Immacolata già nella sua concezione per singolare privilegio, non ha mai macchiato la propria anima neppure con il più piccolo peccato, ma penso alle schiere di quelle anime pure, come s. Luigi o come il nostro connazionale s. Stanislao Kostka, che si sono presentate al tribunale di Dio con la veste dell'innocenza ricevuta nel santo battesimo. Tuttavia, tra i santi ve ne sono di quelli che, per un tratto più o meno lungo di tempo, hanno abusato dei doni di Dio e sono stati sordi alla silenziosa chiamata della grazia. Alcuni di essi, troppo legati alle occupazioni e ai divertimenti, anche se non peccaminosi, dimenticarono il loro sublime destino: come il serafico s. Francesco, beniamino della gioventù ricca di Assisi. Altri, poi, dopo di esser caduti in basso e di essersi avvoltolati nel fango del vizio, si erano ormai allontanati totalmente da Dio, come s. Maria Maddalena, s. Margherita da Cortona. Altri, infine, non conoscevano neppure la vera via assegnata ad essi, come l'apostolo s. Paolo, il quale confessò apertamente di aver perseguitato, per ignoranza, la Chiesa di Dio [cf. 1 Tim 1, 13]. E vediamo ora come Dio li inseguiva con la sua grazia, come bussava alla porta dei loro cuori nelle circostanze favorevoli, come mostrava in modo sempre più chiaro la strada della loro missione: allorché cominciarono a collaborare con i doni di Dio, divennero santi. E così, s. Francesco sente una voce che lo chiama ad andare a combattere, ma quando, per obbedire, sta per preparare il cavallo e l'armatura, Dio gli chiarisce che dovrà mettersi a capo di un esercito spirituale e, insieme con esso, combattere contro le potenze dell'inferno: ed ecco che inizia un'altra vita. S. Margherita da Cortona osserva il proprio amante, ormai... fetido cadavere, e, sotto l'impressione di tale vista, abbandona la vita peccaminosa e si converte. E s. Paolo, allorché, fremente d'ira, si sta avvicinando alle porte di Damasco per incarcerare i cristiani, scaraventato a terra, da ostinato nemico diventa ardente apostolo della dottrina di Cristo. E tutti questi santi, dopo la loro conversione non conoscono più né misura né limiti nel servizio di Dio: non si accontentano più di rispettare una rettitudine mediocre; con un'ascensione verso le più alte vette della perfezione cristiana, essi si sforzano di riscattare il tempo e le grazie dissipati in precedenza. Quando si tratta della gloria di Dio e della salvezza delle anime, nessuna fatica è pesante per loro, nessuna croce è spiacevole: da quel momento in poi per essi tutto questo è un piacere, tutto è un tesoro, poiché è tutto al servizio dell'amore di Dio. Svariate e innumerevoli sono le vie per le quali Dio conduce i santi ad un destino sublime. Sovente Egli rafforza le inclinazioni della natura con doni soprannaturali e permette e comanda di servirsi di essi, ma talvolta Egli esige il sacrificio di quelle inclinazioni della natura, qualora ciò sia necessario per una più alta formazione dell'anima. “Se Dio - afferma Bossuet - vuole rendere gli uomini degni di sé, deve formarli in vari modi, allo scopo di plasmarli secondo il proprio progetto; in questa azione Egli rispetta una cosa soltanto: non vuol fare esplicita violenza alla disposizione innata”. Per questo Dio ha condotto alcuni nel deserto e li ha isolati completamente dagli uomini; ha chiamato altri alla vita comune e ad un aiuto scambievole nel progresso verso la perfezione; altri ancora li ha lasciati nel vortice del mondo, accanto all'aratro, nelle officine degli artigiani, oppure sui troni regali. Alcuni li ha resi celebri per scienza profana o religiosa, oppure per attività sociale, mentre altri li ha lasciati nell'ombra della dimenticanza per tutta la loro vita terrena. Alcuni li ha in certo modo accarezzati, li ha nutriti con il latte delle dolcezze spirituali, mentre altri li ha sfamati con il duro pane della sofferenza; tutto questo dipendeva dalla necessità delle singole anime e dal tipo di missione a cui un'anima era stata destinata. Pur seguendo con fedeltà l'ispirazione della grazia divina, tuttavia i santi non cessano di essere persone simili a noi, e di solito le loro azioni e le loro parole portano in sé le impronte caratteristiche del loro ambiente, del loro paese, della loro patria. Ad esempio, s. Caterina da Siena - la quale sentiva scorrere nelle vene il “sangue senese” che, secondo un'espressione di s. Bernardino, è un “sangue dolce” - talvolta copriva i bambini di baci; una volta, allorché fu chiamata presso un condannato a morte per consolarlo e convincerlo a confessarsi, per tutta la notte tenne la testa di lui stretta al petto, come una madre fa con il proprio figlio. In s. Teresa, invece, si fa strada lo spirito cavalleresco. Nata ad Avila, “città di cavalieri” - dove perfino le donne, durante un'assenza dei loro mariti, furono in grado di resistere ad un assedio - era profondamente compenetrata dello spirito della propria città e della propria nazione; per questo appunto noi troviamo spesso nei suoi scritti le espressioni: “Dio delle battaglie”, “lo stendardo di Dio”, “servire Dio con coraggio virile”. Lo stesso atteggiamento è possibile ravvisare nel connazionale di s. Teresa, s. Ignazio di Loyola, che era stato un soldato. Molti santi furono amanti della musica. S. Francesco talvolta, quando si sentiva ispirato, prendeva due pezzi di legno in mano e li sfregava l'uno sull'altro, come se suonasse un violino. Nei giorni di festa s. Teresa suonava un piccolo flauto e percuoteva un tamburello, mentre s. Ignazio di Loyola si lasciava talmente trascinare dalla musica che non sentiva più alcun dolore. Di solito i santi si comportavano in modo del tutto naturale; tuttavia, per amore di una virtù più elevata, ma soprattutto per sfuggire le lodi e l'approvazione degli uomini, sotto l'influsso della grazia decidevano di compiere delle azioni che, secondo il parere dei circostanti, erano irragionevoli e umilianti. Autentico maestro in questo campo fu s. Filippo Neri. Ad esempio, un giorno alcuni delegati polacchi che si erano recati in visita dal Papa, essendo venuti a sapere che a Roma c'era un “santo”, vollero vederlo: informato della cosa, s. Filippo si fece preparare uno sgabello con dei libri e, circondato da alcuni fanciulli, incaricò uno di essi di leggere un volume di contenuto umoristico ed egli si mise ad ascoltarlo con grande serietà. I delegati entrarono con molta riverenza, tuttavia il santo non permise al ragazzo di interrompere la lettura, ma pregò gli ospiti di attendere. Dato, però, che egli faceva leggere un capitolo dopo l'altro e non era possibile aspettare fino alla conclusione della lettura, indignati e scandalizzati, i delegati si allontanarono, mentre il santo ringraziava Dio per aver evitato la lode degli uomini. Vediamo, dunque, che i santi procedevano per strade diverse, che avevano un comportamento differente nei confronti dei doni di natura. Una cosa avevano tutti in comune ed era il fatto di subordinare sempre tali doni alla grazia, quella grazia che tante volte li aveva sollevati da una prolungata svogliatezza o perfino dalla schiavitù del peccato. Tutti, perciò, hanno vissuto una vita superiore e soprannaturale, indipendentemente dal fatto che la grazia avesse loro imposto di camminare su una strada conforme o contraria alla natura: il loro unico scopo era Dio e il suo santo amore, mentre tutto il resto - fatti naturali o soprannaturali, piacevoli o meno - erano dei mezzi che conducevano allo scopo. In tal modo nulla si trasformava in loro danno, ma anzi da ogni cosa essi traevano vantaggi infiniti, poiché erano vantaggi spirituali: infatti “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, di coloro che sono stati chiamati santi secondo il suo disegno” [Rom 8, 28]. M.K.



Milizia Dell'Immacolata  di Sicilia  

Torna ai contenuti