In Cammino verso la Pasqua

Milizia dell'Immacolata di Sicilia
MILIZIA DELL'IMMACOLATA DI SICILIA
Dal 16 ottobre 1917
Vai ai contenuti

In Cammino verso la Pasqua

Milizia dell'Immacolata di Sicilia
Pubblicato da Fabio Varchi in Chiesa cattolica · 4 Aprile 2023
Giovedì Santo
Dette queste cose, Gesù fu profondamente  turbato e dichiarò: "In verità, in verità io vi  dico: uno di voi mi tradirà". I discepoli si  guardavano l'un l'altro, non sapendo bene  di chi parlasse.
Ora uno dei discepoli, quello  che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco  di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di  informarsi chi fosse quello di cui parlava.  Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli  disse: "Signore, chi è?". Rispose Gesù: "È  colui per il quale intingerò il boccone e  glielo darò". E, intinto il boccone, lo prese e  lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana  entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: "Quello che vuoi fare, fallo presto".
Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti  pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto:  "Compra quello che ci occorre per la festa", oppure che dovesse dare  qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.

Quando fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e  Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo  glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco  sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico  anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Simon Pietro gli disse:  "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado, tu per ora non puoi  seguirmi; mi seguirai più tardi". Pietro disse: "Signore, perché non posso  seguirti ora? Darò la mia vita per te!". Rispose Gesù: "Darai la tua vita per  me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non  m'abbia rinnegato tre volte. Il brano del vangelo è uno splendido esempio  di come Gesù amava. Infatti il punto forte della pagina è la sua  commozione: Gesù si commosse profondamente. Siamo chiamati anche noi  a condividere questa commozione profonda, domandandoci anche perché  si è commosso.  Se io sapessi che qualcuno sta per tradirmi e consegnarmi alla morte,  chissà se mi commuoverei o se mi prenderebbero altri sentimenti più  tumultuosi e più angosciosi. È la commozione di un cuore che continua ad  amare e che percorre il suo faticoso cammino dentro il cuore degli altri,  anche quando non lo amano più. È la commozione di vedere che non siamo  buoni. È la commozione di vedere che siamo capaci di tradire e di  rinnegare, è una commozione che continua a camminare per il nostro bene  e che non si rassegna al male. San Paolo scrivendo ai Romani dice: non  lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene(Rom 12,21). Questa  è la regola doro per risolvere tutte le piccole o grandi questioni della  convivenza umana, perché se tu cerchi di vincere il male con il male, anche  se vinci rimane il male, che provocherà altro male e così questo circolo  perverso non finisce mai.

Cosa che sta succedendo in questo tempo della  storia.  Gesù vince il male che gli crolla addosso con il bene e ci dà anche la grande  lezione di come intendere il male: non tanto il male generico che cè nel  mondo, ma il male che stanno facendo proprio a te. Si fa presto a dire,  predicare, scrivere di vincere il male con il bene, ma la prova che siamo  sinceri è quando il male ha appena ferito il nostro cuore, è lì e soltanto lì  che abbiamo l’esatta misura di quanto siamo già discepoli di colui che ha  vinto il male con il bene.  Ancora una osservazione: qual è il male che ci ferisce di più dei molti mali  che possiamo ricevere dalla vita? È quello che viene dal cuore di un altro,  perché i nostri cuori sono fatti per incontrarsi, e quando i nostri cuori non  solo non incontrano quelli degli altri, ma dagli altri cuori ricevono ferite  anche profonde, ci troviamo di fronte al male di tutti i mali. Gesù affronta  proprio questo male. Chi è che lo commuove fino a quel punto? Non quelli  che lo hanno sempre odiato fin dal principio e che lo scherniranno ancora  quando sarà sulla croce sono cuori impietriti , ma qui sono i cuori degli  amici Giuda e Pietro. È Gesù che ha scelto Giuda ad essere uno dei dodici;  potremmo osservare che Gesù si è sbagliato, ma Gesù non sbaglia, Gesù  sceglie uomini e donne liberi che possono sempre santificarsi o tradire.  Dunque uno dei dodici, un cuore di cui si è fidato, un cuore a cui ha detto di  evangelizzare, un cuore a cui ha concesso di operare miracoli. E poi il  cuore di Pietro, a cui ha affidato tutto: Tu  sei Pietro, e su questa pietra edificherò la  mia Chiesa. Non poteva dare di più e fidarsi  di più. Ecco i cuori che ti feriscono, i cuori di  quelli che ami, di cui ti fidi, a cui anzi affidi  tutto, anche la tua stessa vita, e che nel  momento difficile o ti tradiscono o ti  rinnegano lasciandoti terribilmente solo,  ma di quel tipo di solitudine speciale che si  chiama delusione, perché è meglio essere soli e senza amici, che avere  degli amici che poi ti tradiscono o ti rinnegano.  Gesù quindi traccia la strada di vincere il  male con il bene. Un uomo non la  concepirebbe, ci vuole un Dio fatto uomo,  perché la sua riserva di amore è  inesauribile.

È come se ci dicesse: so come  sei, caro fratello, conosco il tuo cuore che è  buono ma è fragile, che è generoso ma  vacillante; forse mi tradirai, forse mi  rinnegherai, ma sappi che io non ti  renderò male per male, io vincerò con il mio bene il male che mi farai. Gesù  sa che noi gli faremo del male, in effetti siamo tutti peccatori, in qualche  modo lo abbiamo deluso, ma non dobbiamo rattristarci in modo negativo e  dannoso; anzi, dobbiamo ricordarci che quello è il momento in cui Gesù col  suo bene vince il nostro male.  Se questo modo di amare, che è proprio un arte, passa nei nostri cuori,  allora diventiamo dei veri evangelizzatori, perché se impariamo questo  non c’è altro da imparare, perché, qualsiasi cosa accada, siamo disposti,  con la forza di Gesù, a vincere il male che ci viene fatto con il bene che  sappiamo continuare a dare. È sovrumano, ma mica per nulla ci nutriamo  di Gesù Cristo! Che cosa servirebbe infatti comunicare con lui se poi il suo  vivere non passasse in noi? Chi conosce per esperienza di avere i  sentimenti di Cristo ha provato come è bello e giusto questo  atteggiamento, cioè quando, al di là del risentimento, del rancore, della  meschinità del nostro cuore, sollevati dalla forza misteriosa di Gesù Cristo,  siamo capaci perfino di commuoverci nei confronti di chi ci fa soffrire.

Possiamo allora dire: mi fa pena che sei così cattivo, non ho per te né odio  né risentimento, perché il fatto che tu sia cattivo danneggia te, non me; io ti  voglio bene lo stesso, ma tu porterai nel cuore la tua amarezza, oggi fai  male a me e domani a un altro e diventi una di quelle creature pericolose  che riescono a far soffrire altri nel tanto o nel poco.
La storia di Gesù non è solo quella di un uomo che drammaticamente è  stato tradito e rinnegato; cè di più, egli ha voluto attraversare queste  esperienze per diventare nostro maestro nel voler bene. Imparo da te, ti  chiedo la forza, perché tu sei il mio maestro. Ed egli lo ha proprio  riconfermato quando si è chinato come uno schiavo per lavare i piedi dei  suoi discepoli, Giuda compreso. E Pietro aveva reagito dicendo che non era  possibile questo atteggiamento. Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e  dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i  piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.  Ringraziamo Dio di tutte le volte in cui abbiamo saputo vincere con il bene  il male. Davvero la bontà è disarmante, ma nel senso forte che, mentre  soffriamo, amiamo e diamo il bene. Se nella nostra vita ci sono episodi e  persone di cui ricordiamo che ci hanno fatto soffrire molto, ma le abbiamo  amate, abbiamo pregato per loro, ci siamo sentiti in pace, ebbene, queste  sono le cose che porteremo davanti al Signore nel momento del giudizio. E  se ci sono situazioni in cui dobbiamo dire: maestro, non ho ancora  imparato bene, non sono ancora capace con il mio piccolo cuore a fare  come te, non scoraggiamoci, è normale che sia così: non è possibile  alluomo, ma è possibile a lui. Ti chiedo, Signore, di farmi crescere alla tua  scuola. Cè quella persona che per me è ancora un punto di dolore, è una  spina nel cuore e non riesco ad amarla e so che da solo non ci riuscirei mai.

 Ma, Signore, tu che quella sera ti sei commosso e sicuramente amavi Giuda  e Pietro, aiutami a maturare. Saremo giudicati sull’amore, e allora beati noi non se avremo passato una  vita tranquilla dove nessuno ci ha fatto soffrire questo non è un ideale  cristiano , ma quando, incontrando persone che ci hanno fatto soffrire, e  forse anche molto, abbiamo vinto il male con il bene. E se dovessimo anche  chiedere con umiltà perdono perché anche noi qualche volta abbiamo  semplicemente affrontato il male con il male e allora abbiamo continuata  la catena dell’iniquità, ebbene purifichiamoci. La Pasqua ci rinnova e c’è  davvero da chiedere che la regola di Gesù diventi una regola di vita che si  conosca, che si allarghi a onde concentriche, che diventi contagiosa nel  bene. Non c’è nulla di più bello da augurarsi di vincere il male con il bene.
E  lo chiediamo gli uni per gli altri in modo che diventi chiaro che c’è del  vangelo in questo mondo, che c’è della gente contenta perché era stata  cattiva, ma ha incontrato una persona così buona che l’ha avvolta nel bene  e l’ha convertita.

Venerdi Santo
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron,  dove c'era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il  traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i  suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati  e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne,  fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si  fece innanzi e disse loro:
«Chi cercate?».
Gli risposero: «Gesù, il Nazareno».
Disse loro Gesù: «Sono io!».
Vi era con loro anche Giuda, il traditore.
Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò  loro di nuovo:
«Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno».
Gesù replicò:  «Vi ho detto: sono io.
Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne  vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho  perduto nessuno di quelli che mi hai dato».
Allora Simon Pietro, che aveva  una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò  l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro:  «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò  berlo?». Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono  Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di  Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno. Caifa era quello che aveva  consigliato ai Giudei:
«È conveniente che un solo uomo muoia per il  popolo». Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo  discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel  cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta.  Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò  alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro:  «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono».
Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva  freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al  suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente;  ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si  riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me?  Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che  cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno  schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose  Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene,  perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il  sommo sacerdote. Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno  dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi  del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato  l'orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò  di nuovo, e subito un gallo cantò. Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio.

Era l'alba ed essi non  vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la  Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate  contro quest'uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non  te l'avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e  giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è  consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù  aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il  re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno  parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi  dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù:  «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo  mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato  ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse:  «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io  sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza  alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato:  «Che cos'è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in  lui colpa alcuna.

Vi è tra voi l'usanza che, in occasione della Pasqua, io  rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per  voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma  Barabba!». Barabba era un brigante. Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata  una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un  mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei  Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché  sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la  corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo!  Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui  non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo  la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel  pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta.  Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in  libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti  alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi  mi ha consegnato a te ha un peccato più grande». Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei  gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si  mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù  e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà.  Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei:  «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse  loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti:  «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse  crocifisso. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto  del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno  da una parte e uno dall'altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche  l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re  dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove  Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in  greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere:  "Il re dei Giudei", ma: "Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei"». Rispose  Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto». I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero  quattro parti - una per ciascun soldato -, e la tunica.

Ma quella tunica era  senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra  loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la  Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica  hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria  madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e  accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo  figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell'ora il  discepolo l'accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si  compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto;  posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela  accostarono alla bocca. Dopo aver preso l'aceto, Gesù disse: «È compiuto!».  E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero  sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –,  chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via.  Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che  erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era  già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia  gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà  testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché  anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura:  «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice  ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di  nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di  Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò  anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e  portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora  il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i  Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso,  vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era  stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei  Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

La liturgia di questo giorno ci fa rivivere il mistero della Passione e della  morte del Signore. È una liturgia che viviamo all’insegna del silenzio, della  mestizia, della sobrietà. La grande gioia del giovedì si muta in silenzioso  raccoglimento perché lo Sposo è stato consegnato nelle mani degli uomini  che lo hanno arrestato, processato in fretta, condannato e crocifisso. Tutto tace. La sposa, la Chiesa, si sveste di tutti i suoi ornamenti, si prostra  a terra, fa memoria dell’Amore dello Sposo, eleva suppliche, adora  silenziosa il Mistero. Non ci sono fiori non ci sono tovaglie, non si ode il  suono di alcuna campana. Tutto è silenzio e squallore! Non è solo silenzio  esteriore, ma un silenzio del cuore, un silenzio liturgico pieno di  attenzione e di dolore davanti alla realtà della morte di Cristo sulla croce.  Morte di cui siamo responsabili a motivo dei nostri peccati. Abbiamo ascoltato in raccolta partecipazione il racconto della Passione del  Signore. La narrazione inizia con l’arresto di Gesù per mano di un  drappello di soldati e di guardie del Sinedrio. Costoro si recano nel  giardino al di là del torrente Cedron per prenderlo. Ma Gesù stesso si fa  avanti e domanda loro: “Chi cercate?” Questa domanda dovrebbe risuonare questa sera in tutta la sua seria  drammaticità anche per noi: “Chi cercate?” Chi cerchiamo noi che ancora una volta questo Venerdì Santo facciamo memoria liturgica della Passione e morte del Signore? Chi cerchiamo? E  perché lo cerchiamo? Dobbiamo domandarcelo seriamente, esaminando le  nostre più intime intenzioni! Anche a noi come alle guardie e ai soldati  risponderà: “Sono io”, “Io sono”, rivelandoci il suo Nome divino, afferma chiaramente la sua identità. È il nome stesso di Dio, di un Dio che per noi e  per la nostra salvezza si fa uomo, piccolo, povero, si consegna nelle mani  dei carnefici e si fa crocifiggere. Ha detto Papa Benedetto XVI: «C’è stato un periodo – e non è ancora del  tutto superato – in cui si rifiutava il Cristianesimo proprio a causa della  Croce ...  Proprio la Croce è il vero albero della vita. Non troviamo la vita  impadronendoci di essa, ma donandola. L’amore è un donare se stessi, e  per questo è la via della vita vera simboleggiata dalla Croce». Ai piedi del Crocifisso è facile perdonare, è facile volersi bene, è facile soprattutto dare a questo sentimento della bontà un clima di autenticità, di  verità che vada oltre la commozione di un momento e oltre l’interesse di  un’ora e diventi un po’ il segno di tutta la vita. Offriamo a Cristo la  gratitudine per averci amato e insieme il desiderio che il suo amore porti  dentro di noi l’amore vero.

Il Signore Gesù, ancora una volta, ci offre una possibilità, un’occasione per verificare come abbiamo impostato la nostra vita cristiana. E non ci lascia  soli in questo discernimento: ci dona una Madre che ci prende per mano e  ci conduce a calcare le stesse orme del Figlio. “Figlio, ecco tua Madre!” È questa la più importante consegna che Egli ci fa  dalla croce, consegna a noi ciò che ha di più caro: la Madre. Infatti, secondo la narrazione giovannea della Passione che abbiamo  ascoltato, la vita nuova inizia a germogliare proprio lì sull’albero della  croce: su Maria, la Madre di Gesù, e sul discepolo amato è effuso lo Spirito  che il Cristo dona dall’alto della croce. Su questa Chiesa nascente si  riversano il Sangue e l’Acqua – che come osserveranno subito i primi Padri  della Chiesa – sono segno dei due principali sacramenti sui quali si edifica  la Chiesa: il Battesimo e l’Eucaristia.  La morte, dunque, ha solo apparentemente avuto il suo trofeo, essa non  può inghiottire l’autore stesso della vita. Ma oggi la liturgia ci chiede di fermarci qui, sul Golgota. Abbiamo una grandissima lezione da apprendere: l’Amore vero non conosce confini.  Lasciamoci, dunque, conquistare da quest’Amore. Adoriamo la Croce del  nostro Salvatore, contempliamo il suo Mistero d’Amore, eleviamo le nostre  preghiere al Padre, perché su ogni nostra scelta brilli questo sigillo d’  Amore.
Fabio Varchi




icona mariana
Milizia dell'Immacolata di Sicilia
Via Noce. 126 Palermo
Milizia dell'Immacolata di Sicilia
Via Noce,126 Palermo - presso i locali della Parrocchia "Sacro Cuore"
icona di maria immacolata
Torna ai contenuti